Pasquino

Cenni Storici

La più nota delle statue parlanti di Roma è il cosiddetto Pasquino, parte di un gruppo scultoreo di epoca romana raffigurante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo colpito a morte da Ettore, episodio narrato nell’Iliade (Libro XVII). Si tratta probabilmente della copia marmorea da un originale ellenistico bronzeo, forse attribuibile allo scultore pergameno Antigonos (240-230 a.C.).
Rinvenuta alla fine del XV secolo nei pressi di Piazza Navona, in occasione dei lavori di sistemazione della zona, l’opera è databile probabilmente alla fine del I secolo d. C. e, visto il luogo del ritrovamento, è possibile che fosse collocato nello Stadio di Domiziano, le cui rovine si trovano al di sotto dei palazzi che circondano la piazza. Nel 1501, per interessamento del cardinale Oliviero Carafa, fu collocata all’angolo di Palazzo Orsini (oggi Braschi) nell’antica piazza di Parione, che dalla scultura derivò l’attuale nome. Il Cardinale insistette molto per salvare l’opera, giudicata dai più di scarso valore, e fece applicare sul basamento il suo stemma e un cartiglio celebrativo.
Nei primi anni del Cinquecento, per la festa di S. Marco (25 aprile), la statua, che era sul percorso della via Papale, veniva abbigliata come una divinità e su di essa erano collocati gli epigrammi dei certami accademici che si tenevano nella piazza. Il gruppo scultoreo e il suo alto piedistallo ben presto divennero il supporto per cartelli in cui i romani esprimevano, spesso attraverso versi ironici, malcontento e proteste, tanto che il nome di ‘pasquinata’ indica ancora oggi una composizione satirica: il numero di tali pasquinate era così elevato che già nel 1509 ne fu pubblicata una raccolta.
L’origine del nome dato alla statua non è nota; secondo alcuni Pasquino era un personaggio noto nella zona per i suoi versi pungenti. Un’ipotesi recente sostiene invece che era il nome di un docente di grammatica latina, i cui studenti, notata la rassomiglianza, avrebbero lasciato per goliardia accanto alla statua i primi fogli satirici.

Il soggetto principale di tali poesie mordaci erano i pontefici, alcuni dei quali si sarebbero volentieri liberati della statua, come per esempio Adriano VI (1522-1523) che voleva fosse gettata nel Tevere. Altri papi cercarono soluzioni diverse, come la vigilanza della statua giorno e notte o la condanna a morte per gli autori di tali libelli. Tutte queste coercizioni però non sortirono l’effetto desiderato, le composizioni satiriche continuarono a essere scritte e appese sul Pasquino e nei periodi in cui ciò non era possibile erano poste sulle altre statue parlanti (Abate Luigi, Madama Lucrezia, Marforio).

Informazioni sul progetto e l’esecuzione dei lavori di restauro

Progettazione: D.ssa Giulia Ghia
Direzione Lavori: Ing. Felice Marchioni
Responsabile tecnico-scientifico: D.ssa Paola Rossetto
Collaboratore: D.ssa Marialetizia Buonfiglio
Impresa esecutrice: A.T.I.: Equilibrarte srl / Ditta ind. Giulia Silvia Ghia
Fotografie: Zeno Colantoni
Grafica Pannelli: Carla Baffari

Stato di conservazione prima del Restauro

Il gruppo statuario era in pessimo stato conservativo. Considerato il suo carattere di statua “parlante”, il basamento era completamente occultato da messaggi cartacei incollati al travertino con adesivi forti, anche in più strati. Le superfici scoperte erano totalmente scurite da depositi coerenti, macchie, colature di materiali diverse e residui di colle. Erano inoltre visibili molte stuccature, alcune anche di notevole entità, cromaticamente alterate e non più funzionali. Le superfici presentavano consistenti depositi di pulviscolo atmosferico, notevoli strati di sporco coerente, alcune macchie e tracce di adesivi diversi. Erano inoltre presenti scalfitture, segni incisi e graffiature, molte delle quali di natura antropica. Le fessurazioni visibili sul fianco sinistro erano di minima entità mentre il perno impiombato del braccio risultava notevolmente ossidato.

Intervento di restauro

Dopo la campagna fotografica e le indagini diagnostiche, si è procededuti alla rimozione dei depositi superficiali (terriccio, guano ecc.) e al trattamento antiossidante degli elementi metallici. Sono seguite le operazioni di disinfezione, mediante applicazione di biocida. La superficie marmorea è stata poi consolidata con silicato di etile.
I depositi superficiali coerenti sono stati rimossi mediante applicazione di compresse imbevute di soluzione di sali inorganici, mentre quelli di notevole spessore (croste nere, strati carbonati, scialbi), tramite mezzi meccanici e strumenti di precisione.
Si è proceduti poi alla realizzazione delle stuccature delle mancanze, discontinuità e fessurazioni con malte idrauliche di idonea colorazione e granulometria. L’equilibratura cromatica delle superfici è stata eseguita ad acquerello. Le operazioni di restauro sono terminate con la stesura sulle superfici di un protettivo a base di polisilossani.